Il Presidente Renzi dovrebbe sapere che la corruzione diffusa non è un virus ma l'effetto febbrile di una malattia genetica, diffusa in tutto il Paese. Questa malattia deriva dai meccanismi che regolano la rendita urbana, gli appalti pubblici, le concessioni.
A piccola testimonianza accludo un vecchio "racconto".
Da "Mente Locale", Bompiani 2011:
A piccola testimonianza accludo un vecchio "racconto".
Da "Mente Locale", Bompiani 2011:
19. Il lungo assedio
Dieci anni da sindaco. Un periodo lungo quanto
la guerra di Troia: solo a pensarlo mi vengono i brividi. Tante cose accadono.
Molti personaggi compaiono in scena, si conoscono nuovi amici e se ne perdono,
si trovano inattesi compagni di strada, alcuni vecchi protagonisti ci lasciano
per sempre. E il sindaco è sempre lì, dall’inizio alla fine: non muove guerra a
nessuno, cerca solo di difendere la città dagli attacchi continui. Alcune sono
scaramucce di avventurieri, altri sono tentativi seri di espugnare la rocca
municipale. Le minacce non vengono dalla politica e non si tratta di stranieri
che invadono il territorio. Per me la costante decennale è stato l’assedio (più
o meno cruento) da parte degli imprenditori edili locali. Un lungo e reiterato
tentativo di costruire, costruire, costruire ovunque: villette, palazzine,
condomini, capannoni, cliniche, alberghi, centri commerciali. Indipendentemente
dal piano regolatore che decide la destinazione delle aree urbane. Così li
aveva abituati il mio predecessore.
Questa
fame di territorio da parte dei costruttori non nasce all’improvviso o per
caso. In parte è patologica, diffusa su tutto il territorio nazionale, in parte
è alimentata (in molte zone del territorio nazionale) dall’assenza di strumenti
di pianificazione urbanistica e di controllo. Se in questo Paese la corruzione
e l’illegalità sono diffusi e ormai endemici, ciò è dovuto soprattutto alla
pressione dell’industria delle costruzioni. Questa è la mia ipotesi e la mia
esperienza. Non solo per l’assenza di scrupoli dei singoli costruttori, ma per
altri due motivi validi da troppo tempo in Italia. Il primo è il meccanismo della
rendita fondiaria, costruito e alimentato dal dopoguerra a oggi, che genera un
utile spropositato in rapporto ad altri settori industriali. Il secondo motivo,
derivato da questo, sta nel fatto che i risparmi investiti in abitazioni sono
stati e restano i più sicuri in valore e affidabilità degli ultimi
sessant’anni. Costruttori e proprietari trovano nella casa il massimo
rendimento possibile dei propri investimenti e risparmi.
Ci sono
migliaia di pagine che descrivono questo fenomeno, a partire dai “sacchi”
urbanistici degli anni ’60, ma tutto è rimasto com’era, anzi, si è amplificato
e alimentato in ogni circostanza della vita del paese: dai terremoti agli anni
santi, all’Expo, dalle Olimpiadi ai mondiali di nuoto, al mancato G8 della
Maddalena. La casa in proprietà è stato il perno del welfare state
democristiano costruito nel dopoguerra. In questo, la nostra tanto bistrattata
classe dirigente è stata molto più lungimirante e saggia di quella americana.
L’industria edile è stata necessariamente sovralimentata e in un certo senso
assistita. Il credito è stato garantito a chi voleva costruirsi o comprarsi una
casa. Le Casse di risparmio locali hanno concesso con larghezza mutui garantiti
dagli immobili stessi. Anche la recente abolizione dell'Ici è stato un segnale
per favorire la proprietà delle case e quindi la loro produzione.
Senza
Ici, una delle principali entrate dei Comuni è data dagli “oneri di
urbanizzazione” una sorta di tassa pagata dai costruttori sulla base dei volumi
realizzati. Man mano che le altre entrate locali sono state tagliate o
impedite, gli oneri di urbanizzazione hanno rappresentato un gettito ancor più
importante che viene utilizzato per le spese normali e non per l’urbanizzazione
delle aree. Anche la fame di risorse dei Comuni ha favorito l’espansione
edilizia e il consumo del territorio a mezzo del mattone e del cemento.
Non vorrei esagerare, da amministratore ho
subito attacchi provenienti anche da altri settori economici oltre a quello
delle costruzioni, ma al confronto erano scaramucce. I commercianti del centro,
ad esempio, mi hanno consegnato un paio di volte le chiavi (false) dei loro
negozi per protesta. Perché volevano le “distese di tavoli” gratis fuori dai
bar e dai ristoranti; chiedevano che il Comune vietasse l’apertura di nuovi
esercizi commerciali per decreto; pretendevano che le auto potessero circolare
e parcheggiare ovunque, specie le loro. I commercianti ambulanti poi, si erano
immaginati di poter aprire le bancarelle in qualsiasi giorno in qualsiasi piazza
del centro storico patrimonio Unesco, come è stato loro permesso a Firenze o a
Venezia. Ma i commercianrti non sono un esercito in grado di muovere offensive
durature. Sono troppo divisi fra piccola distribuzione fissa, grande
distribuzione, ambulanti, esercizi del centro e della periferia, per essere in
grado di condizionare davvero le politiche locali.
Nella mia città, complice anche il relativo
sottosviluppo dei primi decenni del dopoguerra, l’espansione edilizia è stata
contenuta da un buon governo del territorio fino agli anni ’90: protezione del
centro storico, inedificabilità di alcune aree di pregio, persino la creazione
di un “parco urbano” di centinaia di ettari alle porte della città verso il
fiume Po (dove anticamente erano le riserve di caccia dei duchi) che abbiamo
poi dedicato a Giorgio Bassani. Qualche intervento discutibile dei primi anni
’60: alcuni palazzi costruiti in mezzo alla strada, il “grattacielo” a due
torri vicino alla stazione, dovuti più a limiti culturali delle amministrazioni
e della politica di allora che non a tentativi speculativi dei privati (o forse
le due cose insieme). Insomma, nella norma se non al di sotto: molto meno di
quanto si è costruito e mal costruito in quegli anni nel resto d’Italia, anche
in Emilia.
Alla fine
degli anni ’80 l’equilibrio si rompe: c’è più reddito, più disponibilità a
investire sia nella produzione di case sia nel loro acquisto, c’è anche
l’esigenza di migliorare le condizioni medie di abitabilità. C’è soprattutto la
Cooperativa Costruttori che alimenta la pressione a costruire: all’interno
delle regole o in deroga al Piano regolatore vigente. Dall’altra parte, il
sistema politico e amministrativo è disponibile ad accettare queste
sollecitazioni esterne. Anche in buona fede: accogliere le richieste dei
costruttori significa sostenere l’industria locale, l’occupazione e l’economia
del territorio.
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