sabato 13 dicembre 2014

@matteorenzi finge di non sapere come nasce la corruzione (da ex sindaco dovrebbe)

Il Presidente Renzi dovrebbe sapere che la corruzione diffusa non è un virus ma l'effetto febbrile di una malattia genetica, diffusa in tutto il Paese. Questa malattia deriva dai meccanismi che regolano la rendita urbana, gli appalti pubblici, le concessioni.

A piccola testimonianza accludo un vecchio "racconto".


Da "Mente Locale", Bompiani 2011:


19. Il lungo assedio

Dieci anni da sindaco. Un periodo lungo quanto la guerra di Troia: solo a pensarlo mi vengono i brividi. Tante cose accadono. Molti personaggi compaiono in scena, si conoscono nuovi amici e se ne perdono, si trovano inattesi compagni di strada, alcuni vecchi protagonisti ci lasciano per sempre. E il sindaco è sempre lì, dall’inizio alla fine: non muove guerra a nessuno, cerca solo di difendere la città dagli attacchi continui. Alcune sono scaramucce di avventurieri, altri sono tentativi seri di espugnare la rocca municipale. Le minacce non vengono dalla politica e non si tratta di stranieri che invadono il territorio. Per me la costante decennale è stato l’assedio (più o meno cruento) da parte degli imprenditori edili locali. Un lungo e reiterato tentativo di costruire, costruire, costruire ovunque: villette, palazzine, condomini, capannoni, cliniche, alberghi, centri commerciali. Indipendentemente dal piano regolatore che decide la destinazione delle aree urbane. Così li aveva abituati il mio predecessore.
Questa fame di territorio da parte dei costruttori non nasce all’improvviso o per caso. In parte è patologica, diffusa su tutto il territorio nazionale, in parte è alimentata (in molte zone del territorio nazionale) dall’assenza di strumenti di pianificazione urbanistica e di controllo. Se in questo Paese la corruzione e l’illegalità sono diffusi e ormai endemici, ciò è dovuto soprattutto alla pressione dell’industria delle costruzioni. Questa è la mia ipotesi e la mia esperienza. Non solo per l’assenza di scrupoli dei singoli costruttori, ma per altri due motivi validi da troppo tempo in Italia. Il primo è il meccanismo della rendita fondiaria, costruito e alimentato dal dopoguerra a oggi, che genera un utile spropositato in rapporto ad altri settori industriali. Il secondo motivo, derivato da questo, sta nel fatto che i risparmi investiti in abitazioni sono stati e restano i più sicuri in valore e affidabilità degli ultimi sessant’anni. Costruttori e proprietari trovano nella casa il massimo rendimento possibile dei propri investimenti e risparmi.
Ci sono migliaia di pagine che descrivono questo fenomeno, a partire dai “sacchi” urbanistici degli anni ’60, ma tutto è rimasto com’era, anzi, si è amplificato e alimentato in ogni circostanza della vita del paese: dai terremoti agli anni santi, all’Expo, dalle Olimpiadi ai mondiali di nuoto, al mancato G8 della Maddalena. La casa in proprietà è stato il perno del welfare state democristiano costruito nel dopoguerra. In questo, la nostra tanto bistrattata classe dirigente è stata molto più lungimirante e saggia di quella americana. L’industria edile è stata necessariamente sovralimentata e in un certo senso assistita. Il credito è stato garantito a chi voleva costruirsi o comprarsi una casa. Le Casse di risparmio locali hanno concesso con larghezza mutui garantiti dagli immobili stessi. Anche la recente abolizione dell'Ici è stato un segnale per favorire la proprietà delle case e quindi la loro produzione.
Senza Ici, una delle principali entrate dei Comuni è data dagli “oneri di urbanizzazione” una sorta di tassa pagata dai costruttori sulla base dei volumi realizzati. Man mano che le altre entrate locali sono state tagliate o impedite, gli oneri di urbanizzazione hanno rappresentato un gettito ancor più importante che viene utilizzato per le spese normali e non per l’urbanizzazione delle aree. Anche la fame di risorse dei Comuni ha favorito l’espansione edilizia e il consumo del territorio a mezzo del mattone e del cemento.
Non vorrei esagerare, da amministratore ho subito attacchi provenienti anche da altri settori economici oltre a quello delle costruzioni, ma al confronto erano scaramucce. I commercianti del centro, ad esempio, mi hanno consegnato un paio di volte le chiavi (false) dei loro negozi per protesta. Perché volevano le “distese di tavoli” gratis fuori dai bar e dai ristoranti; chiedevano che il Comune vietasse l’apertura di nuovi esercizi commerciali per decreto; pretendevano che le auto potessero circolare e parcheggiare ovunque, specie le loro. I commercianti ambulanti poi, si erano immaginati di poter aprire le bancarelle in qualsiasi giorno in qualsiasi piazza del centro storico patrimonio Unesco, come è stato loro permesso a Firenze o a Venezia. Ma i commercianrti non sono un esercito in grado di muovere offensive durature. Sono troppo divisi fra piccola distribuzione fissa, grande distribuzione, ambulanti, esercizi del centro e della periferia, per essere in grado di condizionare davvero le politiche locali.
Nella mia città, complice anche il relativo sottosviluppo dei primi decenni del dopoguerra, l’espansione edilizia è stata contenuta da un buon governo del territorio fino agli anni ’90: protezione del centro storico, inedificabilità di alcune aree di pregio, persino la creazione di un “parco urbano” di centinaia di ettari alle porte della città verso il fiume Po (dove anticamente erano le riserve di caccia dei duchi) che abbiamo poi dedicato a Giorgio Bassani. Qualche intervento discutibile dei primi anni ’60: alcuni palazzi costruiti in mezzo alla strada, il “grattacielo” a due torri vicino alla stazione, dovuti più a limiti culturali delle amministrazioni e della politica di allora che non a tentativi speculativi dei privati (o forse le due cose insieme). Insomma, nella norma se non al di sotto: molto meno di quanto si è costruito e mal costruito in quegli anni nel resto d’Italia, anche in Emilia.
Alla fine degli anni ’80 l’equilibrio si rompe: c’è più reddito, più disponibilità a investire sia nella produzione di case sia nel loro acquisto, c’è anche l’esigenza di migliorare le condizioni medie di abitabilità. C’è soprattutto la Cooperativa Costruttori che alimenta la pressione a costruire: all’interno delle regole o in deroga al Piano regolatore vigente. Dall’altra parte, il sistema politico e amministrativo è disponibile ad accettare queste sollecitazioni esterne. Anche in buona fede: accogliere le richieste dei costruttori significa sostenere l’industria locale, l’occupazione e l’economia del territorio.
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