Nei giorni scorsi avevo rivolto
qualche domanda ai candidati ferraresi Pd al Consiglio regionale, per capire se
sul rapporto tra Partiti, Istituzioni, corpi intermedi, il Pd emiliano
romagnolo sia su posizioni diverse da quello nazionale e, in conseguenza,
decidere se votarlo o no. L’ho domandato a loro e non al candidato alla
presidenza Bonaccini semplicemente perché non lo conosco . Lo dico a suo merito
perché è segno che il Emilia il rinnovamento c’è stato davvero (magari a
demerito di quelli che a governare ci sono rimasti venti anni, ma questo è
altro discorso…).
Paolo e Marcella mi hanno dato
risposte interessanti (cui ho mosso qualche obiezione) e una disponibilità a
parlarne in pubblico dopo le elezioni del 23.
Dopo il
comizio finale di Renzi al Pala Dozza e l’attacco (politicamente e umanamente)
volgare a Susanna Camusso e alla Cgil, penso che l’incontro con Paolo e
Marcella sia ancora più utile e urgente, se ne avranno voglia e tempo. Non per
difendere o rettificare le dichiarazioni di Renzi ma per capire che tipo di
rapporto a Ferrara e in Emilia si potrà tenere tra sindacati e istituzioni al
fine di avviare politiche economiche e sociali più efficaci e rispondenti alle
emergenze (il lavoro prima di tutto) e ai bisogni delle comunità.
Ci sono sostanzialmente 3 modelli
cui richiamarsi. Uno è quello emiliano classico: le decisioni spettano alle
istituzioni ma prima, durante e dopo l’iter legislativo e decisionale ci si
confronta a 360 gradi con la società, l’economia, e le altre istituzioni
regionali per trarne suggerimenti e richiedere comportamenti coerenti.
Chiamatela come volete, in genere si chiama concertazione, o programmazione
negoaziata o dialogo sociale, nella sua forma più blanda. Tutti vengono
consultati, nessuno ha diritto di veto sui provvedimenti, si possono generare
ulteriori accordi specifici di applicazione o verifica attuativa. Questo
modello ha il pregio di produrre maggiore consenso sociale sui provvedimenti
istituzionali assunti e coinvolgere attivamente gli attori economici e sociali
privati. Un secondo modello (non abituale in Emilia ma in gran voga a Roma) è
quello che esclude consultazioni formali e pubbliche e ascolta quotidianamente
i suggerimenti e le pressioni delle lobby. Può essere un sistema utile a
rappresentare interessi particolari ma non produce convergenza e coesione,
anzi. Il terzo modello (praticato dai partiti di massa fino agli anni ’70) prevede
che la rappresentanza degli interessi sociali sia mediata dalla rappresentanza
politica (la società ha voce solo attraverso i partiti e non fuori di essi), e
che esistano organizzazioni sociali proprie dei partiti e non autonome (tant’è
che ieri Giuliano Ferrara sollecitava Renzi a fondare un proprio sindacato). Ma
per praticare questo modello ci vogliono partiti solidi, diffusi e radicati,
non partiti leggeri o elettorali in cui il consenso è garantito dal leader
nazionale o dal web.
In Pd nazionale pratica il modello
delle lobby, anche se sembra occhieggiare il terzo.
In Emilia che si intende fare?
Come è ovvio, il modello di
relazioni che si sceglie non è neutrale rispetto alle politiche che si
intendono adottare, e viceversa. Il programma sulla creazione di lavoro che
Bonaccini ha pubblicato sul suo sito, in cui tutta la società
emiliano-romagnola partecipa alla creazione e alla diffusione dell’innovazione
e alla crescita si adatta solo al primo modello di relazioni: quello della
concertazione. Ma questo è contrario alla propaganda e alla pratica del Pd
renziano. Allora, cosa intende fare il Pd emiliano-romagnolo?
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