sabato 22 novembre 2014

Un chiarimento necessario nel Pd emiliano


Nei giorni scorsi avevo rivolto qualche domanda ai candidati ferraresi Pd al Consiglio regionale, per capire se sul rapporto tra Partiti, Istituzioni, corpi intermedi, il Pd emiliano romagnolo sia su posizioni diverse da quello nazionale e, in conseguenza, decidere se votarlo o no. L’ho domandato a loro e non al candidato alla presidenza Bonaccini semplicemente perché non lo conosco . Lo dico a suo merito perché è segno che il Emilia il rinnovamento c’è stato davvero (magari a demerito di quelli che a governare ci sono rimasti venti anni, ma questo è altro discorso…). 
Paolo e Marcella mi hanno dato risposte interessanti (cui ho mosso qualche obiezione) e una disponibilità a parlarne in pubblico dopo le elezioni del 23.
Dopo il comizio finale di Renzi al Pala Dozza e l’attacco (politicamente e umanamente) volgare a Susanna Camusso e alla Cgil, penso che l’incontro con Paolo e Marcella sia ancora più utile e urgente, se ne avranno voglia e tempo. Non per difendere o rettificare le dichiarazioni di Renzi ma per capire che tipo di rapporto a Ferrara e in Emilia si potrà tenere tra sindacati e istituzioni al fine di avviare politiche economiche e sociali più efficaci e rispondenti alle emergenze (il lavoro prima di tutto) e ai bisogni delle comunità.
Ci sono sostanzialmente 3 modelli cui richiamarsi. Uno è quello emiliano classico: le decisioni spettano alle istituzioni ma prima, durante e dopo l’iter legislativo e decisionale ci si confronta a 360 gradi con la società, l’economia, e le altre istituzioni regionali per trarne suggerimenti e richiedere comportamenti coerenti. Chiamatela come volete, in genere si chiama concertazione, o programmazione negoaziata o dialogo sociale, nella sua forma più blanda. Tutti vengono consultati, nessuno ha diritto di veto sui provvedimenti, si possono generare ulteriori accordi specifici di applicazione o verifica attuativa. Questo modello ha il pregio di produrre maggiore consenso sociale sui provvedimenti istituzionali assunti e coinvolgere attivamente gli attori economici e sociali privati. Un secondo modello (non abituale in Emilia ma in gran voga a Roma) è quello che esclude consultazioni formali e pubbliche e ascolta quotidianamente i suggerimenti e le pressioni delle lobby. Può essere un sistema utile a rappresentare interessi particolari ma non produce convergenza e coesione, anzi. Il terzo modello (praticato dai partiti di massa fino agli anni ’70) prevede che la rappresentanza degli interessi sociali sia mediata dalla rappresentanza politica (la società ha voce solo attraverso i partiti e non fuori di essi), e che esistano organizzazioni sociali proprie dei partiti e non autonome (tant’è che ieri Giuliano Ferrara sollecitava Renzi a fondare un proprio sindacato). Ma per praticare questo modello ci vogliono partiti solidi, diffusi e radicati, non partiti leggeri o elettorali in cui il consenso è garantito dal leader nazionale o dal web.
In Pd nazionale pratica il modello delle lobby, anche se sembra occhieggiare il terzo. 
In Emilia che si intende fare?
Come è ovvio, il modello di relazioni che si sceglie non è neutrale rispetto alle politiche che si intendono adottare, e viceversa. Il programma sulla creazione di lavoro che Bonaccini ha pubblicato sul suo sito, in cui tutta la società emiliano-romagnola partecipa alla creazione e alla diffusione dell’innovazione e alla crescita si adatta solo al primo modello di relazioni: quello della concertazione. Ma questo è contrario alla propaganda e alla pratica del Pd renziano. Allora, cosa intende fare il Pd emiliano-romagnolo?


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