lunedì 24 novembre 2014

Pd(R): le chiacchiere stanno a zero

Mettiamo le cose in fila, senza far prevalere i giudizi e senza trarne tutte le conseguenze politiche. Solo per amore di verità, limitandoci ad osservare le situazioni certe.

Renzi è Segretario del Pd per aver vinto le primarie. Ma è diventato Presidente del Consiglio senza passare per nessun voto popolare.
Da segratario Pd ha restaurato il "centralismo democratico" e relegato il dibattito interno al suo partito a mera testimonianza del dissenso. La discussione nel Pd non serve a definire le scelte politiche del Partito ma a contare i favorevoli e i contrari alle decisioni del Segretario, per poi richiedere comportamenti parlamentari coerenti.

 Per amore di oggettività bisogna ricordare che si tratta dello stesso gruppo dirigente Pd che aveva impedito a Bersani di proporre una credibile candidatura alla Presidenza della Repubblica. (Per cui verrebbe di dire che se lo meritano il "centralismo poco democratico", ma questa è solo un'opinione).

Come Presidente del Consiglio Renzi ha avviato il superamento della seconda camera (il Senato) senza modifica costituzionale e ha ridotto il Parlamento a un luogo di ratifica (sulla fiducia) dei suoi provvedimenti legislativi (spesso generici e affidati a decretazione successiva). Il dibattito parlamentare non serve a definire le leggi ma a contare i favorevoli e i contrari alle proposte di legge del Governo.

In sintesi: un Segretario trasforma un partito popolare in un partito personale, un Presidente del Consiglio comprime uno dei tre poteri fondamentali della democrazia (quello legislativo) a strumento dell'esecutivo. Le due cose, separatamente, sarebbero gravi. Il fatto che siano compiute dalla stessa persona dovrebbe essere motivo quantomeno di ulteriore allarme.

Per amore di oggettività bisognerebbe anche qui ricordare che si tratta di un Parlamento eletto sulla base di una legge incostituzionale (come sancito dalla Cassazione) e tenuto in vita dalla decisione del Presidente della Repubblica di non scioglierlo e indire nuove elezioni.
Sempre per amore di oggettività si deve aggiungere che responsabili di questo scempio sono i dirigenti del Pd prima di Renzi che hanno preferito "tentare" la sorte elettorale con la vecchia legge "Porcellum" invece che imboccare la strada della riforma. Ma questa responsabilità non può essere considerata un'attenuante per il modo con cui Renzi guida Parlamento e Governo: anzi. Alla fin fine si tratta di due poteri che operano pur non essendo validati da un voto legittimo.
In altri tempi la sinistra si sarebbe mobilitata contro questa occupazione non autorizzata delle istituzioni. Se questo percorso di presa del potere lo avesse attuato il capo di Forza Italia la sinistra avrebbe certamente mobilitato il popolo a difesa delle istituzioni repubblicane.

Sinceramente non so in quanti Paesi dell'Unione Europea ci sia una situazione democratico istituzionale paragonabile alla nostra.
Si potrebbe dire che (senza modifica costituzionale) siamo ormai in presenza di due sistemi presidenziali (non uno solo). Il primo è il "tutoraggio" quotidiano che il Presidente della Repubblica svolge nei confronti del Parlamento, del Governo, e del Presidente del Consiglio, il secondo presidenzialismo è quello che il Presidente del Consiglio svolge nei confronti del Parlamento. Un doppio presidenzialismo non esiste in nessuna democrazia occidentale.
Ricordiamoci solo del fatto che la Regina Elisabetta, nella "madre" di tutte le democrazie, quando accede al Parlamento inglese è tenuta simbolicamente a bussare alla porta per farsi aprire...

Per tornare alle nostre "stalle", bisogna poi ricordare che da domenica, il presidenzialismo regionale in Emilia Romagna funziona sulla base di un voto di minoranza: una minoranza dei cittadini ha votato, la maggioranza relativa di quella minoranza (non certo il 51%) ha eletto il Presidente. Credo sia la prima volta da quando esiste il voto diretto alle regionali (e la chiamano "una vittoria netta"...).

Per completare questo quadro non esaltante bisognerebbe dire che questi malesseri della democrazia italiana, visti da una scala sovranazionale, sono variabili quasi irrilevanti rispetto alle politiche che il Paese assume. La forma del Governo, la forma del l'attività parlamentare (e a cascata delle altre istituzioni) non contano quasi nulla di fronte alle scelte polithce che vengono prese in Europa e dall'Europa imposte. Per concludere si dovrebbe poi precisare che le politiche europee non vengono prese dalle istituzioni europee ma dalla Bundesbank con il sostegno della Germania.
Così il quadro dell'impoverimento della democrazia nella crisi è completo.



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